Mia Martini, riflesso di uno specchio fragile
E’ uscito da poco il film “io sono Mia” nelle sale dallo scorso 14 al 16 gennaio, e la serie andrà in onda dal 12 febbraio su Rai 1.
Leggere la storia di Mia Martini con il fine di proporre un editoriale può regalare inaspettati riscontri. L’artista calabrese ha trascinato la sua sensibile esistenza su un terreno difficile da sostenere senza adeguato cinismo, competitività, aggressione. Del sapore acre del mondo dello spettacolo se ne sente parlare spesso, eppure, probabilmente, la volontà di esprimere se stessa era maggiore della differenza tra lei e loro. Può darsi in un’altra epoca, una donna così avrebbe colto la felicità e la soddisfazione, senza doverne soffrire. Non in questo mondo, o in quello degli anni 70 evidentemente. Spietato e riluttante verso i cuori aperti ad una creativa sensibilità emozionale. I suoi studi esordiscono a Porto Recanati, un paese delle Marche, raggiungibile facilmente da Roseto e si sa, ha dato i natali anche a Leopardi. Anche lui, figlio di un male di vivere costante, che ci accompagna ( chi più chi meno) tutti.La storia e il tragico epilogo della vita di Mia Martini sono, in questi giorni, protagonisti e ci portano ( per chi di età ne ha a sufficienza)a rivivere gli anni 80/90.
C’è da chiedersi come, la figura di una donna così forte e fragile allo stesso tempo, sia ancora reale e rispecchi la personalità della donna moderna.
Qui, in Abruzzo, soprattutto nella nostra provincia di Teramo, c’è una buona componente matriarcale. Il territorio, da sempre, dall’epoca romana, divisa in latifondi. I grandi proprietari terrieri affidavano a grosse famiglie contadine le terre da gestire e amministrare. E i pascoli da portare in transumanza per mesi. Gli uomini lavoravano tutto il giorno sostituendosi a bestie, le donne, in casa, facevano il resto. A parte non potersi sedere a tavola perché gli uomini ne avevano la precedenza,
la gestione della vita, un tempo, in Abruzzo era prettamente matriarcale.
La donna era impavida, condottiera, fiera e disinteressata di ciò che il mondo potesse pensare di lei. Andava avanti per la sua strada, senza alcuna preoccupazione per ciò che emotivamente potesse sconvolgere la sensibilità altrui. Il tutto senza ridursi a cinismo, la sua posizione da capo famiglia supremo infatti era talmente superiore, che non aveva bisogno alcuno di abbassare le sue vibrazioni. Se c’era da costruire un nuovo pollaio bè, essa iniziava semplicemente a farlo, senza chiedere opinioni e neppure senza chiederle di aiutarla. Il dovere da parte dei figli di rispondere a tale iniziazione era tale da non essere neppure un comando, non era neppure un ordine: il pollaio diventava una presenza e tutti, vecchi e bambini, come attirati da una mistica sorgente, avevano come unico obiettivo, quello di costruirlo.
La nostra famiglia proviene da una educazione di questo tipo, nostra madre è così! E’ riuscita a trasformare una pensione di 13 camere in una ben più grande e a costruire il Residence. Il tutto iniziando come infermiera di notte ealbergatrice di giorno dal 1983. Tuttora, a 76 anni, gestisce interamente le strutture alberghiere Altamira e lo fa con un potere innato che rievocano echi di generazioni matriarcali. Chissà se una base educativa così dura avrebbe portato meno attaccamento ad una personalità sensibile come Mia. Non ci è dato di saperlo, sicuramente io, che tale durezza l’ho vissuta, ringrazio, nonostante, alla fine, non sia diventata geometra di pollai.
Francesca Copia
Note:
Romanzo Consigliato: l’Arminuta, de la pluripremiata scrittrice Donatella Di Pietrantonio